IPERTROFIA PROSTATICA: PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE

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E se la terapia risultasse inefficace?

Se la terapia medica è inefficace, i disturbi minzionali impattano significativamente sulla qualità della vita ed è presente una
ostruzione allo svuotamento vescicale, è indicato il trattamento chirurgico, che si avvale di queste opzioni: le incisioni endoscopiche diatermiche o laser, la resezione endoscopica mono- o
bi-polare, varie forme di terapia laser dalla vaporizzazione (green laser) alla enucleazione, con successiva morcellazione (HOLEP: enucleazione con laser ad olmio; TULEP: enucleazione con laser
al tullio); la idro-ablazione (AQUABEAM: ablazione ecoguidata della prostata con getto laser ad acqua); la classica adenomectomia chirurgica; la adenomectomia laparoscopica robotica. Ogni tecnica
ha vantaggi e svantaggi. L’indicazione nasce da una condivisione dei risultati con il paziente.

 

L’alimentazione, il fumo, l’attività fisica, l’attività sessuale hanno un ruolo nell’ipertrofia prostatica benigna?

Non vi sono correlazioni note tra alimentazione e fumo di sigaretta e ipertrofia prostatica benigna (in
ogni caso, obesità e tabagismo sono correlati con numerose patologie dismetaboliche e tumorali). Per quanto riguarda l’attività fisica, l’impatto negativo dell’utilizzo della bicicletta è una
leggenda metropolitana. La bicicletta ha una controindicazione solo quando la prostata è infiammata (prostatite acuta o cronica), perchè in tal caso può aggravare i sintomi. Le evidenze scientifiche non hanno dimostrato una possibile relazione patogenetica con le abitudini sessuali. Sia l’astinenza prolungata sia un’intensa attività
sessuale non sono nè protettive nè promotrici della insorgenza o della progressione della ipertrofia prostatica. Tuttavia, è rilievo clinico comune che quando sono presenti intensi disturbi
minzionali, ciò può influire in senso negativo sulla libido e sulla prestazione sessuale. Non è infrequente, di converso, quando i disturbi sono trattati con successo, un miglioramento anche
nell’ambito della sfera sessuale.

 

L’ipertrofia prostatica può evolvere in carcinoma prostatico?

L’ipertrofia prostatica benigna non evolve in carcinoma della prostata. In una discreta percentuale di casi (intorno al 40%) la terapia medica può migliorare o stabilizzare i sintomi ed evitare gli interventi chirurgici. 

 

Quali conseguenze può avere l’ipertrofia prostatica non trattata?

Un’ostruzione allo svuotamento vescicale causata da ipertrofia prostatica, se non trattata, può provocare significative complicanze,
quali infezioni urinarie, ematuria e calcolosi vescicale.

Possono sopravvenire episodi di ritenzione acuta d’urina, con l’improvvisa impossibilità di urinare e lo sviluppo di un globo
vescicale molto doloroso, risolvibile solo mediante il cateterismo vescicale. Più insidiosa e pericolosa è la ritenzione cronica d’urina, con residui post-minzionali crescenti, progressiva
sovra-distensione vescicale, fino all’evenienza di incontinenza notturna e di dilatazione delle vie urinarie superiori con insufficienza renale. 

 

Che cos’è il carcinoma prostatico? Quanto è diffuso?

L’adenocarcinoma della prostata è un tumore maligno della prostata, che comunemente insorge nella porzione periferica della prostata.
Il cancro della prostata ha una prevalenza altissima, ed è il tumore maligno più frequente nel maschio, escludendo i melanomi: è più frequente del tumore al colon-retto (secondo) e del tumore al
polmone (terzo). Invece, la mortalità è piuttosto bassa (è una malattia a lenta o lentissima evoluzione, con casi indolenti e clinicamente non significativi), per cui in termini di mortalità il
cancro della prostata è terzo dopo polmone e colon-retto, con una sopravvivenza globale a 5 e 10 anni del 92 e 89% rispettivamente. Nel 2018 vi erano in Italia 458mila persone in vita con una
diagnosi di cancro della prostata, e 102mila con una diagnosi risalente a più di 10 anni prima. I nuovi casi per anno sono circa 35mila.

 

Con quali esami viene diagnosticato?

Nelle sue fasi iniziali, e non solo, il carcinoma della prostata non ha sintomi specifici. La diagnosi precoce si basa sul dosaggio
ematico del PSA, sulla esplorazione rettale, sulla risonanza magnetica multi-parametrica e sulla biopsia.

Un PSA normale non esclude completamente la presenza di un tumore, così come un PSA alterato può essere indice di patologie non
tumorali. Perciò l’informazione che deriva dai valori di PSA deve essere inserita in un mosaico diagnostico.

L’esplorazione rettale mira a definire le caratteristiche della porzione periferica posteriore della prostata, in termini di
dimensioni, simmetria, regolarità, consistenza, presenza di noduli o indurimenti.

L’ecografia transrettale della prostata non ha una significativa capacità diagnostica, pur essendo utile nel determinare le
dimensioni e la conformazione della prostata e utilizzata nella esecuzione delle biopsie prostatiche. Per dirimere il sospetto di un eventuale carcinoma prostatico, si esegue la risonanza
magnetica multi-parametrica (RMm), basata su tre parametri: intensità, diffusione e vascolarizzazione. Una RMm bene eseguita ha una predittività diagnostica negativa molto alta, intorno al 90%.
Al contrario, la predittività diagnostica positiva (la capacità di far diagnosi) è inferiore, intorno al 60%, per l’incapacità di differenziare alterazioni focali su base infiammatoria o
tumorale. Ne consegue la necessità di eseguire biopsie, con il vantaggio di avere anche aree specifiche da campionare. Nella maggioranza dei casi viene utilizzato un campionamento standard a
doppio sestante, 12 prelievi, mirati alle zone dove più frequentemente si annida il tumore della prostata, con l’aggiunta di prelievi aggiuntivi nelle zone di alterazione focale evidenziati dalla
RMm.

 

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Quali sono gli effetti e i rischi della biopsia?

Viene eseguita sotto controllo ecografico (una sonda ecografica introdotta nell’ampolla rettale attraverso l’ano). L’ago che preleva
i frammenti di tessuto prostatico può essere inserito per via rettale (biopsia transrettale) o per via perineale, nella zona tra scroto ed ano (biopsia transperineale).

L’accesso transrettale espone al rischio di possibili infezioni post-biopsia e richiede una profilassi antibiotica, mentre la
frequenza di infezioni con la tecnica transperineale è molto bassa.

Dopo la biopsia, possono esserci fenomeni di ematuria o di emospermia (sangue nelle urine e nello sperma) per qualche giorno, a
scomparsa spontanea con il tempo. 

 

Che cosa s’intende per sorveglianza attiva?

In circa un terzo dei casi il carcinoma della prostata ha caratteristiche tali da poterlo considerare come una malattia indolente,
clinicamente non significativa, a lenta o lentissima progressione. Queste situazioni sono definite con precisione in base alle linee guida, in termini di numero di frustoli bioptici positivi (non
più di tre), di gradazione della malattia (Gleason 6; ISUP 1), di valori del PSA (meno di 10) e di caratteristiche alla risonanza magnetica multi-parametrica (assenza di PIRADS 4 o 5). In questi
casi, tenendo conto di età, comorbidità, motivazioni e aspettative, è indicabile un regime di sorveglianza attiva: uno stretto monitoraggio dell’evoluzione della malattia, con PSA ripetuto
all’incirca ogni 4 mesi, nuova RMm dopo 12 mesi, e nuove biopsie prostatiche per protocollo. Il razionale della sorveglianza attiva è di non attuare nell’immediato terapie attive, che avrebbero
comunque un impatto sulla qualità della vita, monitorando l’evoluzione della malattia, pronti a cogliere un eventuale viraggio negativo. La sorveglianza attiva è al momento la migliore risposta
al problema della sovra-diagnosi (diagnosi di malattie non significative) e del conseguente sovra-trattamento (trattare malattie che non avrebbero vantaggi). 

 

In quali casi s’interviene chirurgicamente o con la radioterapia? 

Nel caso di malattia organo confinata (in cui si escluda la possibilità della sorveglianza attiva), le terapie con finalità di
guarigione sono essenzialmente due: la chirurgia o la radioterapia. E’ necessaria innanzitutto un’adeguata stadiazione clinica che si avvale, oltre della RMm, di una TAC addominale con mdc più
una scintigrafia ossea ‘total body’ o in alternativa di una PET-colina. Altrettanto importante è la valutazione generale in termini di comorbidità (malattie generali associate, farmaci assunti) e
di aspettativa di vita.

La chirurgia consiste nell’asportazione completa della prostata e delle vescichette seminali (prostatectomia radicale) e dei
linfonodi pelvici che hanno a che fare con la prostata (linfoadenectomia pelvica). L’intervento può essere eseguito con tecnica in aperto, o laparoscopica convenzionale o laparoscopica
robotica. 

Il trattamento radioterapico può essere di vario tipo: brachiterapia (con inserimento di semi radioattivi all’interno della prostata)
o radioterapia esterna. Le moderne tecnologie consentono di modulare l’intensità del trattamento e di mirare accuratamente le radiazioni sotto continuo controllo radiologico (“image guided”).
Vengono irradiate la regione prostatica e se necessario i linfonodi pelvici. In base allo stato della malattia può essere indicata l’associazione di una terapia ormonale per periodi variabili da
sei mesi a due anni.

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