LA PROSTATECTOMIA

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Quali sono i rischi dell’operazione chirurgica?      

La prostatectomia radicale ha una conseguenza certa e alcune conseguenze possibili.

La conseguenza certa è la perdita della eiaculazione (tolte prostata e vescichette seminali non c’è più fuoriuscita dello sperma).
L’orgasmo è conservato, perché il riflesso orgasmico è indipendente dall’erezione e si può raggiungere anche a pene flaccido. Il mantenimento dell’erezione è possibile e dipende da numerose
variabili, quali l’età, la qualità e la quantità dell’attività sessuale precedente, la presenza di una partner interessata, e l’esecuzione di tecniche di risparmio dei nervi erettori. 

La prostatectomia radiale espone al rischio di sviluppare un’incontinenza urinaria post-chirurgica. L’evento di un’incontinenza
urinaria permanente è diventato eccezionale con l’introduzione della chirurgia robotica. Più frequente è la possibilità di un’incontinenza transitoria, che si risolve progressivamente nell’arco
di 2-5 mesi e si può avvalere, per accelerare il recupero, di programmi di riabilitazione del pavimento pelvico.

 

Quando sono indicate l’ormonoterapia e la chiemioterapia?        

L’utilizzo di farmaci in grado di abbassare il testosterone a livelli di castrazione (ormonoterapia) è efficace nel trattamento del
carcinoma della prostata avanzato o metastatico. Può essere utilizzato come mono-terapia o nell’ambito di programmi terapeutici integrati (prima o dopo chirurgia, in associazione a radioterapia).
Esistono oggi, oltre ai farmaci classici (LH-RH analoghi o antagonisti), nuove opportunità terapeutiche (abiraterone, enzalutamide, apalutamide) ed altre sono all’orizzonte. 

Nella malattia metastatica trova indicazione la chemioterapia sistemica variamente integrata e sequenziata con le altre possibilità
terapeutiche. Nelle rare malattie ad alta aggressività biologica sin dalla diagnosi, la chemioterapia può essere un’opzione fin dalle fasi inziali di trattamento.

 

Si può guarire definitivamente?

Il cancro della prostata è una malattia speciale, a lenta evoluzione, in cui i risultati oncologici si valutano a 10, 15, 20 anni
dalla diagnosi iniziale. È più facile morire “con” il cancro della prostata, piuttosto che “a causa” del cancro della prostata. Ci sono sicuramente situazioni in cui si guarisce del cancro della
prostata, soprattutto, ma non solo, quando la diagnosi è stata tempestiva. 

 

Quali sono i problemi che vanno risolti con maggiore urgenza del sistema-salute italiano?

Il nostro Servizio sanitario nazionale è una realtà stupenda, con l’offerta universale di servizi sanitari, impareggiata in altri
Paesi. Tuttavia, l’introduzione del concetto di “azienda sanitaria” ha drammaticamente svilito la professionalità e il ruolo del medico, deviando il fuoco sui processi organizzativi e di bilancio
economico, relegando a una valenza minore la professionalità e i risultati clinici. Oggi il 70% dell’attività “clinica” è di tipo burocratico e solo quanto resta è dedicato al paziente, che
teoricamente dovrebbe essere al centro del sistema. Il medico è impropriamente gravato di ruoli non medici per la grave carenza di personale amministrativo.

 

Come mai tanti medici italiani di grande professionalità o all’inizio della loro carriera si trasferiscono all’estero e spesso
riscuotono fuori dai confini nazionali grande successo?

Le risposte sono semplici: in numerosi Paesi esteri i medici che lasciano l’Italia trovano realtà ben organizzate che sono orientate
a sfruttare al meglio la loro professionalità, permettendo loro di fare il medico e non il segretario o l’amministrativo di sé stesso, premiando non a parole, ma nei fatti il merito dal punto di
vista delle risorse per la tecnologia e per la ricerca, e con la commisurata gratificazione economica. Tutto ciò avviene al di fuori di contratti nazionali in base ai quali la prestazione medica
è pagata allo stesso modo, indipendentemente dalla complessità delle prestazioni e dal risultato clinico ottenuto, con il frequente paradosso che la retribuzione è talora più alta dove si lavora
meno e con minor complessità. Nel nostro Paese, per un concetto errato di uguaglianza, il fuoriclasse – e ce ne sono – viene trattato come la media. Questo, insieme all’imperante invidia sociale
per chi ha successo, livella verso il basso le professionalità, le svilisce attraverso un opprimente controllo burocratico e politico. La meritocrazia è costantemente nominata, ma eccezionalmente
messa in pratica.

 

Colpa del controllo politico sulla sanità?

Le leggi vigenti, in effetti, consentono il controllo politico della sanità non solo e non tanto in termini organizzativi e di
sostenibilità (punti non opinabili), quant’anche nella scelta degli attori, spesso in base alla contiguità politica e alla condivisione acritica degli indirizzi. 

È urgente valorizzare i risultati clinici delle prestazioni mediche e introdurre meccanismi che premino il merito in termini
economici e di gratificazione professionale, con progressioni di carriera non ancorate esclusivamente all’anzianità, bensì ai risultati clinici ottenuti.

 

Come uscire da questa situazione?

Cercando, e trovando, una terza via tra un sistema liberistico e iper-competitivo che promuove l’eccellenza e affossa la mediocrità e
un sistema iper-regolamentato che promuove la mediocrità e affossa l’eccellenza.

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