UNI, CENT’ANNI E NON DIMOSTRARLI

Di Ruggero Lensi

 

Come mai il disegno tecnico ha reso possibile la progettazione dei prodotti e sistemi più complessi? Il cinema è sopravvissuto ai fratelli Lumière? A scuola si sta
comodi per diverse ore? Siamo in grado di sfruttare e misurare l’energia solare? I treni ad alta velocità frenano con sicurezza? Il pianeta non diventerà un’enorme serra? Perché ci sono
altrettante norme tecniche consensuali (le “norme UNI”) che da cent’anni lo hanno reso possibile e continuano a farlo. Aiutano a comunicare, permettono l’interoperabilità dei prodotti,
favoriscono l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, garantiscono la sicurezza delle persone e la sostenibilità ambientale, sociale ed economica. E lo fanno in modo del tutto volontario: la loro
applicazione è obbligatoria per legge solo in un ridottissimo numero di casi, quando la sicurezza e la salute delle persone ne traggono un beneficio fondamentale.

Sono passati cento anni, un secolo tondo, da quando la Federazione delle Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica varia e affine (oggi ANIMA Confindustria
Meccanica varia) fonda Unim Comitato Generale per l’Unificazione nell’Industria Meccanica con l’obiettivo di “realizzare un programma di standardizzazione nell’industria
meccanica”
, ispirandosi a quanto già fatto all’estero e “chiamando a collaborare le Istituzioni e Associazioni che
svolgono attività in relazione alla standardizzazione”
, come il Comitato nazionale scientifico tecnico (oggi Cnr), l’Associazione nazionale ingegneri italiani, l’Associazione
elettrotecnica italiana e la Confederazione generale dell’industria (oggi Confindustria). Nel 1930 – con l’ampliamento del campo di attività – Unim perde la specificità meccanica e prende il
nuovo nome di UNI, mentre l’ultimo riconoscimento ufficiale è il Decreto legislativo 223/2017 “Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (Ue) 1025/2012 del
Parlamento europeo e del Consiglio sulla normazione europea”.

 

La storia di UNI e della normazione italiana è stata caratterizzata da una progressiva evoluzione – indispensabile per accompagnare lo sviluppo socioeconomico del
Paese – dalla “centralità del prodotto” (dimensioni, caratteristiche, sicurezza…) alla “centralità del processo” e agli aspetti organizzativi (chi non ricorda il boom dei sistemi di gestione per
la qualità?) fino a orientarsi in questi ultimi anni verso la “centralità della persona”, sia nel lavoro (la qualificazione dei professionisti “non regolamentati”, la sicurezza sul lavoro, il
rapporto uomo-macchina, i dilemmi dell’intelligenza artificiale…) sia nella dimensione di consumatore e cittadino: tutela, salute, informazione, responsabilità sociale….

UNI non si è mai limitato, però, a guardare alla realtà nazionale: dagli anni trenta del novecento ha partecipato alle prime attività internazionali dell’ISA
(divenuta ISO International
Organisation for Standardization
nel 1946), della quale detenne dal 1939 al 1941 la presidenza con Giovanni Tofani (un senatore del Regno) e successivamente con Giacomo Elias nel biennio
1999/2000. A livello europeo, nel 1961 UNI partecipa alla fondazione del CEN – Comitato europeo di normazione,  European Committee for Standardization – con lo scopo
di creare le condizioni di un vero mercato unico grazie all’armonizzazione della normazione tecnica in 34 Paesi, come supporto alla legislazione che permetta la libera circolazione solo di
prodotti di qualità e sicuri per i consumatori e per l’ambiente. La presidenza CEN è stata italiana nel 1993/1994 (Giacomo Elias) e lo sarà nuovamente per il triennio 2022-2024 con Stefano
Calzolari, già vicepresidente dell’UNI.

Il ruolo dell’Europa è fondamentale per la normazione ma anche viceversa, come voluto dal regolamento Ue 1025/2012. A confermarlo le Conclusioni del Consiglio Ue
del 16 novembre 2020 “Verso un’industria europea più dinamica, resiliente e competitiva” che forniscono un’ottima sintesi sottolineando:

  1. che tutti i beni e i servizi messi a disposizione sul mercato unico siano conformi alle norme e agli standard europei, al fine di garantire la competitività
    dell’Ue e una concorrenza leale nonché ad accrescere la fiducia dei consumatori europei;
  2. di un sistema europeo di normazione ben funzionante quale base per sostenere gli obiettivi della leadership tecnologica europea, in particolare per quanto
    riguarda le transizioni verde e digitale;
  3. della disponibilità di norme armonizzate che agiscano da catalizzatore della competitività, dell’innovazione e della sicurezza dei consumatori e come tali norme
    armonizzate si siano rivelate preziose durante la crisi COVID-19, ad esempio in relazione alle attrezzature mediche;
  4. di norme e standard chiari per l’organizzazione dello scambio di dati industriali su base volontaria.

Di fatto le Conclusioni Ue sono l’obiettivo UNI per i prossimi anni, al quale però abbiamo l’ambizione di aggiungerne altri di tipo sociale. Prima di tutto
improntando tutte le nostre attività ai concetti della responsabilità sociale delle organizzazioni (secondo la norma UNI EN ISO 26000), dell’integrità e dell’etica per definire delle norme che
possono contribuire ad armonizzare la crescita, la spinta all’innovazione e la dignità della persona.

Operativamente, dedicando particolari attenzioni e risorse ad argomenti come l’educazione finanziaria, l’accessibilità e il design for all, l’economia circolare, la sicurezza
della società e del cittadino, le smart
cities
e le comunità e infrastrutture sostenibili, l’economia della condivisione, per cercare di arrivare al vero, grande, unico obiettivo: un mondo fatto ben

P.S. Comunque, nonostante si dica che la normazione tecnica sia nata agli inizi del novecento come conseguenza del disastroso incendio di Baltimora che
evidenziò la necessità di standardizzare le dimensioni di idranti e manichette antincendio, posso dire senza rischio di smentita che in realtà è nata più di duemila anni fa. Lo dimostrano i
mattoni (bipedalis e
sesquipedalis), i tubi
dell’acquedotto (fistulae) e i
giunti per le diramazioni domestiche, le strade, i passaggi pedonali e le unità di misura di volume ancora visibili a Pompei.


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