UNICREDIT, ORA SERVE DAVVERO UNO “STEEL BANKER”

Di Andrea Giacobino

Da “Il CR7 dei banchieri” a il “Il banchiere d’acciaio”. Quando il 26 gennaio scorso, mentre Giuseppe Conte saliva al Quirinale per rassegnare le dimissioni da
Palazzo Chigi nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, s’è diffusa la notizia che di lì a ventiquattro ore dopo il consiglio d’amministrazione di Unicredit avrebbe indicato
Andrea Orcel quale futuro amministratore delegato, i nomignoli elogiativi del nuovo capo dell’istituto di piazza Gae Aulenti hanno cominciato a fioccare su tutta la stampa italiana. Nessuno,
improvvisamente, ha più ricordato che Orcel era stato definito anche “l’ultimo dei Mohicani”, per aver difeso a spada tratta il sistema dei bonus plurimilionari ai banchieri d’affari, o che
l’acquisizione di Abn Amro da parte di Fortis, Rbs e Santander (da lui orchestrata quando era in BofA Merrill Lynch) è stata definita “disastrosa” da “The Telegraph” mentre “Institutional
Investor” ha etichettato il nuovo capo di Unicredit come “uno dei banchieri più controversi della crisi finanziaria” del 2008. Nessuno, poi, ha ricordato che Orcel guiderà una banca chiamata dal
governo dimissionario a sposare il disastrato Monte dei Paschi di Siena. Quel Monte statalizzato perché azzoppato fin dal 2007 dalla disastrosa acquisizione di Antonveneta che proprio Orcel,
sempre come BofA Merrill Lynch, consigliò a Giuseppe Mussari, allora presidente di Mps, strapagando 9 miliardi di euro più 7 miliardi di debiti per quella banca che lo stesso Orcel, questa volta
come consulente del Santander, aveva fatto comprare all’istituto guidato da Emilio Botín per 6,6 miliardi.

Resta il fatto che, se Orcel (più volte candidato alla guida di Unicredit in passato) questa volta ce l’ha fatta, una ragione c’è. Anzi, più di una. La prima è
sicuramente costituita dal forte appoggio che la sua candidatura ha avuto da alcuni soci forti della banca: primi fra tutti le fondazioni Crt e Verona che già provò a portare Orcel in Unicredit
nel 2010. A questi soggetti istituzionali si sono aggiunti molti fondi internazionali che hanno gradito il profilo di un banchiere d’affari e “last but not least” la sponsorizzazione di Leonardo
Del Vecchio, il patron di LuxotticaEssilor che non gradisce il matrimonio con Mps. E questo spiega perché anche la crisi di governo ha favorito la candidatura di Orcel rispetto a quella molto più
istituzionale di Fabio Gallia, già amministratore delegato di Bnl Bnp Paribas prima e Cassa Depositi e Prestiti e pure in sintonia col presidente designato di Unicredit, quel Pier Carlo Padoan
che da ministro avviò la nazionalizzazione proprio del Monte.

In questo senso fino al prossimo 15 aprile, data in cui l’assemblea degli azionisti di Unicredit ratificherà la sua nomina a capoazienda, Orcel avrà tempo prima di
insediarsi di fare alcune cose fondamentali: radiografare punti di forza e punti di debolezza di Unicredit, magari preparando qualche cambiamento nella prima linea di management e nominando un
suo direttore generale di fiducia. e soprattutto verificare se il matrimonio con MpS è davvero conveniente e se avviene a impatto zero sul capitale. L’eredità lasciata da Mustier, insomma, col
bilancio 2020 in maxi-rosso (vedi box) è stata pesantissima anche se l’ex paracadutista francese arrivò in Unicredit, sostituendo un banchiere commerciale come Federico Ghizzoni, con la fama di
banchiere d’affari uscito dalla francese Société Générale. Se anche stavolta i soci di Unicredit hanno scelto un banchiere d’affari è perché Orcel è sicuramente molto più bravo di Mustier anche
se, esattamente come il suo predecessore, non ha mai gestito nemmeno uno sportello. E quindi potrebbe, se non riuscisse o volesse concretizzare il matrimonio col Monte, trovare altre strade di
crescita. Dove? L’ipotesi più ridotta è quella dell’aggregazione col BancoBpM, quella più ambiziosa porta fino a Mediobanca e tramite Piazzetta Cuccia nientemeno che a un maxipolo con
Assicurazioni Generali di cui anche Del Vecchio è socio pesante. Nessuno si stupirebbe, poi, se Orcel fosse, in alternativa, il “cupido” di Unicredit per un matrimonio transnazionale con qualche
grande banca straniera.

Del resto il nuovo capo di Unicredit ha costruito tutta la sua carriera all’estero fin da quando è arrivato nel 1988 alla Goldman Sachs di Londra, per trasferirsi
poi a Parigi come consulente senior di Boston Consulting Group dal 1989 al 1992 e tornare poi nella capitale britannica all’interno della banca americana Merril Lynch, acquistata nel 2009 da Bank
of America che l’ha salvata così dal fallimento toccato invece l’anno prima alla concorrente Lehman Brothers.

E’ nei vent’anni londinesi di BofA Merril Lynch che Orcel ha realizzato le sue grandi operazioni come banchiere d’affari, che gli hanno permesso di incassare bonus
milionari: agendo sempre e solo come “consulente” di altri banchieri che volevano comprare o vendere altre banche. Nel 1998 ha infatti orchestrato la fusione da 25 miliardi di euro del Credito
Italiano e di Unicredito Italiano nell’Unicredit che poi, sempre con la sua consulenza, ha acquistato Capitalia. Ed è lì che il banchiere ha stretto una forte amicizia con Alessandro Profumo che
quando si spostò da Unicredit al Monte lo volle nel 2013 (nel frattempo un anno prima Orcel era emigrato in Ubs a guidare l’investment banking) per mettere in piedi il maxiaumento di capitale di
13 miliardi di euro. Sempre nel ventennio londinese Orcel è stato a fianco del Santander di Botín nell’acquisto di Abbey National, nella già ricordata operazione Abn Amro, nello shopping di
Alliance & Leicester prima e di Sovereign Bank poi. Il resto della storia professionale di Orcel lo ha visto approdare in Ubs
nel 2011 (chiamato dall’allora numero uno Sergio Ermotti, anche lui un ex Merrill Lynch e un ex Unicredit) da cui è uscito improvvisamente a settembre del 2018 convinto che Ana Botín, figlia del
defunto Emilio subentrata alla guida del Santander, gli avrebbe affidato la guida del colosso bancario spagnolo. Ma il “dealmaker” per una volta aveva fatto i conti senza l’oste. Il consiglio
d’amministrazione dell’istituto iberico si oppose e Orcel – che pure ha chiesto agli spagnoli un risarcimento di 100 milioni di dollari – rimase a piedi. Almeno fino a quest’anno. 

Grande forza di volontà e grande disciplina, che applica anche nel suo quotidiano esercizio fisico e nella sveglia all’alba, sono le doti che hanno portato Orcel
nell’olimpo dei grandi banchieri. Nato il 14 maggio del 1963 a Roma da padre siciliano che si occupava di leasing (figlio a sua volta di Giuseppe Orcel, primo direttore generale della Cassa del
Mezzogiorno) e da madre tosco-francese che lavorava per le Nazioni Unite, è stato spinto fuori dal nostro Paese fin da quando nella Capitale ha frequentato il liceo francese Chateaubriand su
decisione della madre, per poi laurearsi in economia e commercio con lode alla Sapienza con una tesi sulle acquisizioni ostili. Da lì alla business school Insead a Fontainebleau in Francia e poi,
appunto, a Londra dove a Kensington si trova la sua lussuosa casa. Sposato nel 2009, dopo 16 anni di fidanzamento, con l’interior designer ed ex dipendente di British Airways, la portoghese Clara
Batalim da cui ha avuto una figlia, Orcel, che ha un cucciolo di husky di nome Flash, parla correntemente cinque lingue: italiano, francese, inglese, tedesco e spagnolo. 

C’è, infine, un’altra caratteristica che ha decretato il successo di Orcel: il suo bell’aspetto, l’eleganza del portamento e il fatto che guarda sempre dritto negli
occhi il suo interlocutore. “Sono perfetto? No, no lo sono – ha detto di sé – Ricordo sempre che quand’ero ragazzo mio padre mi diceva: ogni mattino quando ti alzi e ti guardi allo specchio
mentre ti radi, non puoi nasconderti. Puoi vivere con chi vedi riflesso? Perché tu sei il miglior giudice di te stesso”. Dal prossimo 15 aprile, c’è da giurarci, Orcel si guarderà allo specchio
con più attenzione al mattino per scoprire se è capace di cambiare il destino di una delle più grandi banche italiane. Questa volta dall’interno.


 

L’ultimo bilancio di Jean Pierre Mustier alla guida di Unicredit, quello del 2020, s’è chiuso con una perdita di 2,78 miliardi di euro sopra le stime degli analisti
di un “rosso” di 2,3 miliardi. L’utile netto sottostante è stato di 1,3 miliardi, dopo aver effettuato accantonamenti per 5 miliardi di rettifiche su crediti nel 2020, per far fronte
adeguatamente all’impatto economico attuale e futuro del Covid-19. La banca ha confermato il target di utile netto sottostante di oltre 3 miliardi per quest’anno. “Andrea Orcel – ha
affermato Mustier riferendosi al suo successore – porta al gruppo un patrimonio di esperienza e una straordinaria serie di risultati nella finanza internazionale. Ha tutti i numeri per guidare
Unicredit nella prossima tappa del suo percorso”. Combinando distribuzioni ordinaria e straordinaria, agli azionisti di Unicredit sarà corrisposto quest’anno un importo
totale di dividendo pari a 1,1 miliardi, costituito da riacquisti di azioni proprie per 0,8 miliardi e dividendi in contanti per 0,3 miliardi. Per il 2021 è prevista la distribuzione
straordinaria di capitale pari a 652 milioni, interamente sotto forma di riacquisti di azioni proprie.


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